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Dir. Resp.
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Edizione del 23/08/2020
Estratto da pag. 1
Il debito buono e quello cattivo. Dalla dottrina Draghi al Recovery Fund
L’atteso intervento di Mario Draghi al Meeting di Rimini ha confermato leaspettative.L’ex presidente Bce ha esplicitato una posizione in sintonia, in sostanza, conquanto detto da Papa Francesco: siamo di fronte ad un cambiamento d’epoca, non(semplicemente) ad un’epoca di cambiamento.Questo comporta, anzitutto, nuove consapevolezze (l’austerità a oltranza èforse un dogma religioso ma non una ricetta economica funzionante e il debitosovrano non va più demonizzato a prescindere, ma occorre e occorrerà saperciconvivere, anche culturalmente, nel medio-lungo periodo, con buona pace deiPaesi c.d. frugali del Nord) e nuove sfide (il denaro preso a prestito dagliStati che si indebitano andrà speso non semplicemente bene, ma al meglio).Quando il cambiamento diventa inevitabile (tale lo ha definito Draghi,riferendosi al presente, congruendo con un’opinione in proposito moltodiffusa), occorre mettere in campo la capacità di governare la transizioneverso un modello nuovo (riguardo agli assetti istituzionali, agli assettiproduttivi, e perfino, entro certi limiti, agli assetti sociali) e,soprattutto, quella di elaborare un modello nuovo.Nella transizione, le politiche del sussidio si rivelano essenziali, perchél’obiettivo, primario, è garantire la tenuta sociale (a fortiori nel quadro diuna realtà, come quella attuale, fattasi ipertroficamente complessa). Ma ilsussidio – in coerenza con la sua stessa natura e ragion d’essere, e per motividi vario ordine – non può essere la soluzione su un piano di grandezza che vadaoltre il brevissimo periodo. I sussidi devono servire, essenzialmente, acomprare il tempo necessario per usare la transizione al fine di sviluppare unmodello nuovo.L’Europa si attende dall’Italia – per finanziarlo con gli attesi 209 mld dieuro di cui si parla da tempo – un Piano entro metà ottobre 2020, che decliniquel modello nuovo. Un modello che dovrà essere – data la ragguardevoleconsistenza dello stock di risorse – forte, credibile, volto con decisione alfuturo. Un modello, è da aggiungere, che non ci riporti semplicemente a doveeravamo, ma ci porti sensibilmente più avanti (la sfida a usare al meglio ildebito è la sfida massima, ed è il caso di rammentarlo perché anche nelRecovery Fund c’è una competente di prestito, e, come osserva Tremonti, ildebito, quale che ne sia la fonte o il titolo, porta sempre con sé il rischiodella soggezione se non della sottomissione).Il vice presidente della Commissione Ue Gentiloni ha osservato nei giorniscorsi, al riguardo, che “più che cento progetti per dare segnali a tutti,penso sia importante concentrarsi su sette o otto aree di intervento chetrascinino il resto. Ma devono essere percorsi precisi con spese dettagliate,investimenti, regolamenti, risultati attesi, tempi previsti.”. Ha ragione.È tempo di idee e pensiero “forti” (di pensiero lungo, per dirla con GiancarloGiorgetti), di vision e senso della profondità, di scelte strategiche nette,quando necessario anche (apertamente) controcorrente rispetto ad assunticonvenzionali un po’ troppo agée e conformismi di piccolo cabotaggio. Ed ètempo di una classe dirigente che sappia incarnare tutto questo, al di fuori diriti e liturgie ormai consumati dal tempo. Un classe dirigente che sappia farloanche apportando spunti (e, prima ancora, modi di pensare) innovativi. Inquesta direzione, è il caso di guardare con ritrovata attenzione alla societàcivile. Tutta, senza stilemi e pregiudizi definitivamente superati dallaStoria.Per essere concreti, a metà ottobre tutto dovrà essere gia sviluppato, tuttogia dibattuto, tutto gia deciso. C’è qualcosa di pronto? No. Siamo a buonpunto? No. Occorre accelerare, in modo formidabile e attivamente, mobilitandocoscienze ed energie con uno sforzo senza precedenti. Non è più tempo diaspettare fatalisticamente che le cose succedano, ma è necessario piuttostofarle succedere.All’insegna, naturalmente, del “nuovo” vero, e non del nuovismo. Della sostanzadelle cose, cioè, piuttosto che delle mode culturali effimere. “Nuovo” è talein rapporto al presente reale, anziché alla Storia intera. Può essere che il“
nuovo” oggi si risolva in una presenza più forte del pubblico nell’economia?Sì, può essere. Anche questo, può essere. Va discusso se, come e quando, ma sì,può essere.Del resto, come dice Magatti, “superare l’individualismo della società deiconsumi per entrare nella società che genera può essere una soluzione, ma nonbasta opporsi al vecchio per essere capaci di costruire il nuovo”. E per questoriscuotono oggi grande attenzione dottrine, come quella della generativitàsociale, dove temi cruciali sono quelli della formazione, sugli investimentinelle risorse umane, ma anche della disponibilità a cedere il potere, dellacapacità di far nascere spin-off (vorrei dire, ampliando il concetto, diagevolare il trasferimento tecnologico dai centri di ricerca – atenei, in primoluogo – al mondo delle startup, come sostenuto anche da Abravanel e Costamagnain un recente editoriale sul Corriere).Si può fare? No, si deve fare. Adesso.