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Dir. Resp.
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Edizione del 23/08/2020
Estratto da pag. 1
Ha sbagliato Giuseppe Conte a irritarsi per l’intervento di Mario Draghi alMeeting di Rimini. Avrebbe dovuto, al contrario, far propria l’agenda che l’expresidente della Bce ha proposto: passare dai sussidi agli investimenti,puntare su scuola, sanità, digitale, infrastrutture, lavoro produttivo,separare il debito buono da quello cattivo come il grano dal loglio. Il capodel Governo dovrebbe sapere meglio di ogni altro che i suoi nemici, quelli chelo fanno traballare e possono spingerlo fuori da palazzo Chigi, sonoall’interno e non all’esterno della maggioranza. Così è, almeno finché non siconoscerà l’esito del voto regionale il 21 settembre e forse anche dopo.L’appuntamento elettorale è diventato il pensiero dominante dei partiti. Ilpatto Pd-M5s è saltato perché le sue contraddizioni esterne sono venute allaluce prima del previsto, ma paradossalmente sarebbe stato meglio se fosseandato in porto, lo diciamo proprio noi che ne abbiamo criticato l’incoerenzainterna, in omaggio alla stabilità e alla chiarezza. Quanto meno l’accordoavrebbe offerto un quadro chiaro che si poteva accettare o rifiutare, adessosiamo entrati in una guerra di tutti contro tutti.È proprio questa fase conflittuale e confusa a rendere davvero troppo ottimistala previsione di Roberto Gualtieri. Il ministro dell’Economia sostiene che inautunno vedremo un rimbalzo oltre ogni rosea previsione, tanto che il Prodottointerno lordo quest’anno scenderà meno di quel che stimano le autoritàinternazionali e la stessa Banca d’Italia, sarà anche inferiore a quell’8%calcolato dal ministero dell’Economia quando a primavera ha presentato ilDocumento di economia e finanza.Può darsi che alla fine Gualtieri abbia ragione. Secondo gli economisti checonoscono bene i trabocchetti della congiuntura, il ministro si fa abbagliaredall’industria manifatturiera che senza dubbio mostra segnali di ripresa moltoincoraggianti. Però il problema dell’Italia non è la manifattura, dalla qualederiva circa un quarto del prodotto lordo, è tutto il resto, quei tre quartiche vengono dai servizi. Qui i segnali non sono altrettanto positivi. Prendiamoil turismo, i musei, l’intrattenimento (dallo sport ai cinema), ma anche ilcommercio. È vero che durante il lockdown negozi e supermercati hannocontinuato a funzionare, tuttavia l’atteggiamento dei consumatori si è fattoestremamente cauto, anzi addirittura sospettoso. Si compra meno, si tiene ladomanda a un regime basso che diventa minimo in settori come l’abbigliamento: inegozi sono vuoti, gli acquisti languono.Se nei mesi più critici della pandemia la crisi nasceva dall’offerta, oggirischia di essere provocata dalla domanda, a causa della propensione deiconsumatori, ma anche per una riduzione dei redditi a disposizione. Chi ha nonspende, risparmia; chi non ha non spende e rischia di finire in bancarotta. Cisi attende un’impennata della disoccupazione l’anno prossimo quando finirà ilblocco dei licenziamenti e le risorse per la cassa integrazione saranno aglisgoccioli. Anche Draghi ha messo le mani avanti: sarà improbabile che tuttoresti come prima, che ogni azienda, negozio, bottega possa riaprire. E perquesto ha invitato a puntare tutti gli sforzi possibili e tutte le risorsedisponibili sugli investimenti che possono mettere in moto l’economia, daiservizi (come la sanità e la scuola) alla produzione. La perdita di vecchiposti di lavoro e la creazione di nuovi non saranno operazioni simultanee, cisarà un vuoto da riempire, un intervallo durante il quale dovranno entrare incampo gli ammortizzatori sociali, quelli esistenti e altri da mettere in campo.Anche per questo non bisogna perdere tempo, scegliere subito e cominciare.Ma com’è possibile agire in modo efficace e tempestivo se manca l’accordo sullepriorità e se tutti pensano a spendere per accontentare le lobby vocianti e ipropri collegi elettorali? Esiste una contraddizione palese tra obiettivi dellapolitica e necessità dell’economia; e dare priorità alla politica, al suoprimato, mette in pericolo la ripresa economica. Il Fattore E (il fattoreelettorale) rappresenta in questo momento la
più pesante palla al piede delPaese. Allora bisogna rinviare le elezioni ammesso che sia possibile?Nient’affatto, sarebbe in ogni caso un segnale pessimo e pericoloso. L’Italianon è in uno stato di emergenza, al contrario deve gestire bene con saggezza eun bel pizzico di immaginazione l’uscita dall’emergenza.È qui che il Governo e le forze politiche che lo sostengono dovranno misurarsi,mostrando agli elettori quel che sanno fare. Finora hanno esibito troppi latioscuri. Prendiamo la querelle sul Mes, il Meccanismo europeo di stabilità. Èuna baruffa nominalistica, tutta basata su posizioni ideologiche (fidarsi o nodell’Europa, affidarsi ai burocrati di Bruxelles o addirittura della famigeratatroika). Nessuno, sia al Governo che all’opposizione, ha presentato un chiaroprogetto su come utilizzare quei 36 miliardi di euro disponibili. Ènell’interesse nazionale farne a meno se servono per affittare nuovi spazi perle scuole o per ampliare le terapie intensive degli ospedali, per assumeremedici e insegnanti? Il buon senso induce a rispondere no. Ma troppo spesso,come diceva Alessandro Manzoni, il buon senso resta nascosto per paura delsenso comune.© RIPRODUZIONE RISERVATA