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Edizione del 22/08/2020
Estratto da pag. 1
Il nichilismo, la tecnica e le sfide del vivere. Dialogo (da capogiro) tra Borgna e Galimberti
Cosa dà senso al vivere? Come fare esperienza della meraviglia? Seil nichilismo è mancanza di perché, e se oggi è per la filosofia l’epoca delnichilismo, quali sono le sfide che ci attendono? Le domande, le stesse che dasempre l’essere umano si pone e che, nonostante tutto, continua a farlo ancheoggi, nella società della “crisi di senso”, risuonano in maniera carsica, ma inmaniera così affascinante da fare venire il capogiro, durante il dibattito chesi è svolto al Meeting di Rimini – “Le sfide del vivere nell’epoca delnichilismo”, introdotto e moderato dal filosofo Costantino Esposito, forse ilpiù grande psichiatra italiano in vita, Eugenio Borgna, primario emerito delreparto di psichiatria di Novara, oltre che accademico e saggista, e UmbertoGalimberti, filosofo, sociologo, psicoanalista, accademico e giornalista,insomma uno dei maggiori pensatori italiani che è riuscito ad andare più afondo su questioni come la tecnica e il nichilismo nella società contemporanea.La triste presa d’atto del professor Borgna, innanzitutto, è che la condizioneumana, oggi, è sempre più amaramente spostata sul piano dell’esteriorità. Suquello dell’oggi, del presente, senza legami con il passato che è stato e conil futuro che sarà. Ma la carenza più radicale, in tutto ciò, è la “mancanza dianalisi interiore, dell’osservazione dei nostri pensieri, speranze edisperazioni”.“Sant’Agostino diceva Interiore homine habitat veritas, ma quanti fra noi, ognigiorno, a fine giornata ripensano al senso delle cose fatte? I nostri giovanisono travolti da un nichilismo esasperato. La mancanza di significato portaall’angoscia e alla disperazione. Allora continuo a chiedermi: quantaresponsabilità nei giovani e quanta invece negli adulti, portati a negare ognisignificato al dolore, alla sofferenza, alla fragilità?“. La domanda posta dalprofessore Borgna, novantuno anni appena compiuti, è quella di un medico, unpensatore, che conosce bene la fede cristiana, che ha scritto tanto ma cheancora più si è confrontato con la dura realtà dell’ospedale, in generale, edel manicomio, in particolare, prima della riforma della storica riforma che siè avuta con la Legge Basaglia.Per cui, potremo dire senza dubbi di smentita, una figura che conosce a fondol’animo umano perché con questo si è confrontato nel corso di tutta la suavita, e per via della sua professione, oltre che della sua propensione eattitudine umana personale che lo ha portato, fin dagli anni sessanta, aintrodurre metodi di cura incentrati non sulla coercizione ma sul dialogo,sull’ascolto empatico, sulla comprensione del dolore che si apre allaprospettiva, ineludibile e tutta profondamente umana, della speranza. “Gliadulti forse oggi sono incapaci ancora più dei giovani di guardare dentro di sée di ascoltare le proprie emozioni quando si incontrano con gli altri”, è ladura sentenza del professore. “Come diceva Bernanos, anche la speranza nascedalla disperazione. Se rifiutiamo il mistero rifiutiamo la percezione degliorizzonti e dei valori della vita”.“Una mia paziente – racconta – immersa in quella perdita di speranza checostituisce il leitmotiv di ogni forma di depressione, che oggi fanno semprepiù esageratamente parte della vita, nel momento in cui la disperazione, e cheavvicina la vita al suicidio, una mattina mi guarda e mi dice: non so che cosasia avvenuto. Le speranze sulle quali avevo costruito la mia vita, come avereuna figlia, erano tutte fallite. Ma stamattina, improvvisamente, non so perché,ho avuto l’impressione che potesse realizzarsi, non questa o quella speranza,che cioè mia figlia guarisse o che la situazione familiare si alleggerisse, mail fatto di sentirmi trasformata, cambiata nella speranza che mi ha apertol’orizzonte del futuro”.Quella donna, spiega Borgna, riconobbe che “vivendo prigioniera del passatovivevo prigioniera in un presente che non aveva nessuna dimensione delpassato”. Ma “ecco che improvvisamente arriva questa speranza, che non venivacerto dalle cure che stavamo facendo. Da che cosa veniva, senza mescolarepensieri metafisici, religiosi e psicologici? Perché nasceva que
sta speranza?Nell’uomo e nella donna allora vediamo che c’è sempre una sorgente, comearcheologicamente nascosta, che rinasce solo quando cresce la nostra capacitàdi cogliere quello che avviene dentro di sé e dentro gli altri”.In tutto questo, però, si innesta la tematica del nichilismo, della tecnica,della società post-moderna e iper-razionale che decostruendo tutto non lasciaspazi per ricostruire nulla che non sia funzionale a sé stessa, ai propriingranaggi, al fine ultimo e ultimativo della funzionalità utilitaristica. Iosono perché produco. Ma tutto questo dove porta, qual è il fine ultimo delnostro agire, se questo fine, l’umano, viene in qualche modo reso sempre piùlabile, indefinito, impercettibile, fluido?“L’emergenza del nichilismo è caratterizzata dall’imprevedibilità del futuro”,spiega Galimberti. La parola futuro, infatti, per il filosofo e psicoanalista,è importante in maniera particolare per gli abitanti dell’Occidente perchécresciuta “in maniera cristiana”. “Tutti siamo cristiani, anche gli atei, gliagnostici, anche io che non sono cristiano e penso in maniera greca”, diceGalimberti.“Siamo tutti cristiani, perché il cristianesimo non è solo una religione ma unacultura, direi perfino un inconscio collettivo. È stato il cristianesimo ainterpretare il tempo in una modalità in cui il futuro costituisce comunque unapromessa. Ha diviso il tempo in tre estati: nel passato, il peccato originale;nel presente, la redenzione; nel futuro, la salvezza. Il futuro è assolutamentepositivo. E la scienza pensa in modo assolutamente cristiano. Il passato èignoranza, il presente ricerca, il futuro progresso. Anche Marx a mio parere èun grande cristiano: il passato è ingiustizia sociale, il presente è fareesplodere le contraddizioni del capitalismo, il futuro è la giustizia sullaterra. Anche Freud, che scrive contro la religione, vede nel passato la nevrosie il trauma, nel presente la terapia, nel futuro la guarigione. Tutto ècristiano in Occidente, fondato sul concetto di tempo dove alla fine sirealizza quello che all’inizio è stato promesso”.La concezione escatologica e lineare del tempo non ha infatti nulla a chespartire con l’antica Grecia, spiega il filosofo, in cui l’età dell’oro eraqualcosa che stava alle spalle, mentre invece il futuro era destinato a portarecon sé la decadenza. “Nietzsche dice che Dio è morto ma lo fa annunciare nondall’ateo ma dal folle, perché senza Dio si perde l’orizzonte. Dice: noi loabbiamo ucciso, abbiamo fatto il più grande dei delitti, e ora non abbiamo piùnulla. Le chiese sono diventate le tombe e i sepolcri di Dio. Quindi: manca loscopo, il futuro non è più la promessa. È imprevedibile, quando non unaminaccia. Manca la risposta al perché. Perché mi devo dare da fare, devostudiare, devo stare al mondo? Così sono molti i giovani che si suicidano”.Il nichilismo quindi, per Galimberti, “ha tolto la positività del futuro,caratteristica fondante della cultura cristiana. Non è tanto quindi capire seDio esiste o no, ma se fa mondo oppure no. Perché altrimenti il futuro diventaun tempo qualsiasi, senza rimedio alla condizione attuale”. Per questo “ilnichilismo va guardato bene in faccia”, chiosa il professore. “Ma la gente sirifiuta di vedere che ha perso il senso. I giovani vivono nell’assolutopresente perché il futuro non è più una promessa. E alcol e droga sonoespedienti che diventano anestetici per non guardare avanti e avere l’angosciadell’insignificanza del tempo”.La tecnica, inoltre, per il professore “non è più uno strumento nelle manidell’uomo”. “Oggi la tecnica è diventato il nostro ambiente, il nostro modo diabitare o di pensare. Caratterizzata dalla forma più alta di razionalità mairaggiunta da un uomo”. Per tecnica Galimberti ovviamente non intende latecnologia in quanto tale, “ma il tipo di razionalità che la tecnica mette incircolazione, che consiste nel raggiunge il massimo degli scopi con l’impiegominimo dei mezzi”. “Questa è anche la razionalità del mercato, che però soffreancora di una passione umana, che è la passione del denaro. Da cui larazionalità tecnica è esonerata. La tecni
ca prevede come valori esclusivamenteefficienza e produttività, nient’altro. Non apre scenari di salvezza odischiude orizzonti di senso: la tecnica funziona. E siccome il suofunzionamento è diventato planetario, noi uomini stiamo diventando funzionaridi apparati tecnici”.Galimberti ricorda che sono secoli che la filosofia ha affrontato questi temi.Lo hanno fatto Spengler, Heiddeger, Jaspers, Severino. “Ma siccome la filosofianon si studia più perché non serve a niente, queste cose non si sanno”, è lasconsolata presa di coscienza. “L’uomo è già uscito dalla storia. Perché l’uomonon è solo razionalità, ma è anche irrazionale: lo è l’amore, il dolore,l’immaginazione, l’ideazione, il sogno, e tutte queste dimensioni sono elementidi disturbo per la funzionalità tecnica. Ogni lunedì, quando andiamo a lavorarein un apparato tecnico, diventiamo funzionari di apparato”.Per Galimberti, “il modello della società della tecnica è quello del nazismosenza però averne i suoi toni truci. La tecnica ci toglie la responsabilità neiconfronti dell’interlocutore. La responsabilità è solo verticale, nei confrontidel superiore. La risposta dei generali nazisti quando venivano processati era:ho ubbidito agli ordini. Questa è la risposta dell’età della tecnica. Se ilmedico non sta alla razionalità dei protocolli viene esonerato, ma tutti iprotocolli vanno bene? Ormai i medici guardano esami e lastre ma i pazienti nonli guardano proprio”.Al lato opposto della condizione tremendamente infelice descritta daGalimberti, però, c’è la ricerca della felicità. “La condizione per arrivarealla felicità è: conosci te stesso, gnothi seauton, conosci il tuo daimon erealizzalo. Nel farlo, però, non oltrepassare il limite. Perché altrimenticommetti tracotanza, hybris, dicevano i greci”. Ma “noi occidentali abbiamoperso il senso del limite, perché viviamo un progresso sfrenato. I nostri nonniavevano meno disponibilità di noi ma probabilmente erano più felici di noi”.“Ma coltivare l’amore è la grande macchina attraverso di cui ci si puòrelazionare e trovare il senso di essere uomini”, conclude Galimberti. “L’amorenon è razionale ma appartiene alla follia, lo diceva Platone, e come ha scrittoBorgna la follia che ci abita è di tutti, ed è solo attraverso la nostra parteirrazionale che riusciamo a raggiungere la verità dell’altro e l’altroraggiunge la nostra verità”.Qual è allora la speranza, domanda in conclusione lo psichiatra Borgna, che“qualcosa possa muoversi anche nel Deserto dei tartari”, che “contrassegna lavita di chi è prigioniero della perdita del reale”? “Soltanto la disperataricerca che ciascuno di noi ogni giorno dovrebbe fare”, risponde lo psichiatra.“In che misura conosciamo vita e interiore e solitudine nostra e degli altri?La speranza si forma all’interno della famiglia, nell’ascolto. Nel mio lavoro,il mio primario mi diceva: se lei riesce a salvare un giovane dal suicidio lasua vita ha trovato un senso. Nel deserto di emozioni, speranze e desideri nonsi esce se non nella speranza e nell’utopia di creare ogni volta incontri cheabbiano la caratteristica del possibile e non quello dell’impossibile. RomanoGuardini diceva che la malinconia è la nostalgia dell’infinito. Alloral’infinito è anche quello che può scaturire da ogni nostro incontro”. Propriocome quello tra il professor Borgna e il professor Galimberti.