ILSUSSIDIARIO.NET
Dir. Resp.
Tiratura: n.d. - Diffusione: n.d. - Lettori: 25711
Edizione del 22/08/2020
Estratto da pag. 1
Le scuole apriranno. Non possono non riaprire, se non al prezzo diun’insurrezione delle famiglie con annessa marcia su Roma, sit–in davanti alministero dell’Istruzione e presa del potere da parte di nonno Libero (che tral’altro è anche amico dei grillini da cui discende l’attuale inquilina di VialeTrastevere) a nome di tutti i nonni d’Italia che paventano un altro lockdown.Di sicuro apriranno. Ma come?Al Meeting di Rimini l’argomento scuola–educazione è stato messo sul piatto finda subito, fin dall’intervento di Mario Draghi che in realtà ha volato piùalto, toccando i temi dell’investimento sui giovani, della loro qualificazioneprofessionale, della messa in opera a loro vantaggio degli strumenti checonsentano di recuperare il debito creato con la pandemia. Si tratta, nel casodi Draghi, di un “pensiero lungo”, per usare un’espressione utilizzata dall’on.Giorgetti in un altro dibattito, che contrasta con i pensieri corti di quelleparti politiche che normalmente si occupano di scuola guardando all’agendaelettorale.Ad ogni buon conto, più si discute di scuola, come si sta facendo in questigiorni, non solo al Meeting, ma sui giornali, sui social e in televisione, invista della riapertura, e più emerge chiaramente la drammatica spaccatura diorigine culturale che è all’origine di tutti i nostri guai.Spaccatura tra un’azione di governo preoccupata di andare al carro del Comitatotecnico scientifico che monitora il tasso pandemico e suggerisce/impone regole(le sappiamo: distanziamento, sanificazione degli ambienti, mascherine), da cuideriva la tragicommedia dei banchi a rotelle, e una parte dell’opinionepubblica (alcuni intellettuali, alcuni politici, molti addetti ai lavori,insegnanti, genitori, gli stessi alunni più grandicelli) che si chiede: a qualescopo? Si badi bene: non a quale scopo dotarsi di attrezzature che mettono alsicuro dal contagio in una situazione di pandemia, ma a quale scopo farlo nellascuola, il cui fine ultimo non è la sicurezza delle persone, ma la lorocrescita formativa e culturale.In altri termini: è mai possibile che il fine, come ci ha insegnatol’italianissimo Machiavelli da tutti citato anche quando si condiscel’insalata, non giustifichi più i mezzi, ma i mezzi erodano fino a farloscomparire il fine? Si intende il fine della scuola, ovviamente. Riemergedrammaticamente la spaccatura. C’è oggi una corrente pedagogico–attivistica cheha colto la pandemia per insistere su un’idea per la verità non nuova chepotremmo definire “oggettivizzazione dell’educazione”. In questa prospettival’educazione e qualunque processo formativo non sarebbero altro che l’asetticorisultato di piattaforme di dati e problemi che l’individuo, da solo e con lesue sole forze intellettive, dovrebbe progressivamente assimilare e risolverein un crescendo di difficoltà che al termine del processo lo rendono abile adimmergersi nella realtà di ogni giorno.Questa sorta di digitalizzazione dell’istruzione si sposa molto bene con ladidattica a distanza, la scuola delle sole competenze, l’attivazione negliindividui di processi mentali di adattamento. Si sposa molto bene con unascuola di Stato che fornisce regole uguali per tutti e un pensiero unico perquanto riguarda l’approccio ai contenuti scolastici.Questa modalità, tuttavia, non fa i conti con l’interezza delle persone che nonsono solo intelligenza, ma anche cuore, affezione e sentimento. Come lamettiamo allora da questo punto di vista con un bambino di scuola primaria checoncepisce la scuola come abbraccio fisico, da dare e da ricevere tra compagnie tra maestri e alunni, come fonte dell’assimilazione delle conoscenze? Questospunto ci riporta ad un’altra idea di scuola, il cui fine non è strettamenteintrinseco al lavoro didattico, ma attinente ai desideri della persona stessa edi coloro (famiglia, comunità, società) che se ne prendono cura.In questo secondo senso, la scuola non nasce nella scuola, tra i banchi, ma èoriginata da una idea di trasmissione o consegna di cultura, intesa comeipotesi di significato, da una generazione all’altra. Perché dunque in questafase così delicata di
riapertura non aprire anche il “file” dello scopo ultimodell’istruzione, ritrovando le origini dello stesso atto educativo che iniziafuori della scuola e si completa dentro di essa nel confronto con le materiescolastiche e l’assimilazione critica della loro specificità? Perché nonspendersi anche, lo chiediamo al governo, ai sindacati, ai politici, perricostruire il nesso tra la didattica e la vita, molto più densa di mistero edi positività di quanto suggerisca un’emergenza sanitaria?In questa ottica non si derogherebbe alla sicurezza, ma si ribadirebbe che inun contesto di istruzione pubblica statale e non statale la scuola è anzituttodi chi la fa: famiglie, insegnanti, genitori, presidi, personale ausiliario. Echi la fa, anziché sottrarsi alle sue responsabilità, dovrebbe essere messo ingrado di rispondere alle sfide. Stiamo proprio parlando di sostegno anchefinanziario diretto alle scuole statali e non statali, semmai qualcuno non sene fosse accorto! © RIPRODUZIONE RISERVATA