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Edizione del 21/08/2020
Estratto da pag. 1
Meeting Rimini, duello fra centrodestra e governo
Presenti quasi tutti i leader. Salvini, Meloni (collegata) e Tajani incassano la maggior parte degli applausi durante il confronto con Speranza,...
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Un anno fa sarebbe stato facile: l’applausometro del meeting di Rimini è da sempre uno strumento affidabile per comprendere il sentimento del popolo di Comunione e liberazione nei confronti della politica. Ma nei giorni del Covid, come dice un volontario, «si pensa più alla salute che alla salvezza». E le strettissime procedure di sicurezza sterilizzano quella che è sempre stata una festa di popolo in una platea necessariamente limitata. Ma in ogni caso, à la guerre comme à la guerre: l’appello di Giorgio Vittadini perché le forze in Parlamento si aggreghino su un bene comune cade nel vuoto. I rappresentanti di tutte le forze politiche, i numeri uno o al massimo due dei partiti, stentano ad uscire dalla logica della contrapposizione. Con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Antonio Tajani che non riescono a dimenticare il fatto di essere stati poco, anzi nulla, ascoltati negli ultimi mesi e Roberto Speranza, Graziano Delrio e Maria Elena Boschi che ricordano l’emergenza che ha imposto qualche scorciatoia. È vero: forse la notizia è che ieri nella sala plenaria del Palacongressi di Rimini erano presenti proprio tutti. «Un tempo i 5 Stelle ci avrebbero coperto di contumelie — scherza Maurizio Lupi — oggi c’era anche Luigi Di Maio», sia pure in telecollegamento. Così come il debutto di Meloni e Salvini: un tempo il centrodestra era solo Berlusconi, accolto dal tripudio delle folle. O magari Giancarlo Giorgetti, l’ambasciatore vero della Lega con il movimento ecclesiale.



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E così, a un mese giusto dal referendum per il taglio dei parlamentari, la domanda provocatoria che apre il confronto tra i vertici («I Parlamenti servono ancora?») rimane a mezz’aria. L’applausometro a scartamento ridotto premia Matteo Salvini, reduce dai bagni di folla in Toscana: «I nostri provvedimenti, dal Sicurezza, alla Legittima difesa, al Codice rosso sono stati ampiamente modificati dal Parlamento. Noi, dall’emergenza, non siamo stati in grado di toccare palla. Ci hanno dato giusto un colpo di citofono dopo che Conte e Casalino hanno comunicato le loro decisioni». Anche se Boschi gli ricorda che nell’Ungheria dell’«amico» Orbàn il Parlamento è stato chiuso proprio. Parecchi applausi se li aggiudica anche Tajani, il vicepresidente di FI, soprattutto quando parla del premier: «Conte era premier con la Lega e lo è con il Pd». Franza o Spagna, purché se magna. Mentre Delrio e Speranza faticano a riscuotere applausi. Meloni è fuori applausometro, un tormentato telecollegamento impedisce alla platea di manifestarsi. Ma la leader di FdI la sua proposta per la salute del Parlamento la fa. Riprende il patto anti inciucio firmato nel centrodestra nei giorni scorsi: «Occorre spingere i partiti al rispetto delle promesse che fanno, non è vero che ci dobbiamo beccare qualsiasi governo soltanto perché ha una maggioranza in Parlamento: Pd e M5S hanno preso i voti che hanno promettendo che si sarebbero battuti gli uni contro gli altri».

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